domenica 26 gennaio 2014

I cinque motivi per cui non dovreste MAI aprire un blog


Arriva un momento, nella vita, in cui uno capisce che non può continuare ad aspettare che sia Rob Brezsny a dirti cosa fare.
Un momento in cui la distanza tra ciò che stai cercando di diventare (uno stronzo qualsiasi che non ha bisogno di un lavoro vero per vivere) e ciò che non sarai mai (ricco, famoso e sentimentalmente stabile) è troppo breve anche solo per pensare che alzarsi da quel letto sia una buona idea.
In quell'istante capisci che non potrai fare a meno di deludere il tuo professore di filosofia e no, non sarai mai 'qualcuno'.

Quello è il periodo in cui fare cose - qualunque tipo di cose - sembra l'unica soluzione all'apatia esistenziale
e si decide di aprire un blog. Il nichilismo è il più viscido dei serpenti, amici miei, ma un blog non risolverà i vostri (o i miei) problemi.

Ecco i 5 motivi per cui VOI non dovreste mai aprire un blog
(ma io sì):

1)
Non sapete scrivere
Non ve ne faccio una colpa, c'è chi ci riesce e chi non ci riesce. Ma proprio perché voi non ci riuscite NON fatelo. Leggere ricette o istruzioni per truccarsi è di per sé abbastanza doloroso, il vostro uso esuberante di punteggiatura e abbreviazioni non facilita o rende più piacevole la lettura. Per nulla.

2)
Non sapete DI COSA scrivere
Devo ammetterlo, questo è un punto che a lungo ha messo in crisi anche me.
Forse siete convinti che parlare di sesso/serate/persone con piglio personale vi renda originali, pecore fuori dal gregge o quantomeno persone interessanti, ma no. Leggere i vostri post non solo annoia terribilmente ma fa convincere persone come me che io sia migliore di voi. Questo provoca una reazione a catena più potente del ciclo della vita, della fame del mondo e del sistema capitalistico per cui chi si crede migliore di voi inizia un blog, e non c'è bisogno che concluda questa frase.

3)
Non diventerete mai famosi
Lo so, lo so benissimo che siete convinti che la vostra brillante ironia non passerà inosservata dai redattori di Vice e in men che non si dica avrete una rubrica tutta per voi (effettivamente è ciò di cui sono convinta anch'io!) ma fidatevi, non succederà. Semplicemente perché non è così che funziona la vita. O, come direbbe Britney, 'You wanna live fancy, live in a big mansion, party in France/ you better work bitch'. E con lavorare intende, e io e Niccolò Contessa con lei, un lavoro vero (di quelli proprio senza glamour). Vuoi mettere il fascino vintage di un lavoro di quelli che non si usano più? Fare i fotografi freelance o i tatuatori è mainstream. Il pizzaiolo, quello sì che è sidestream.

4)
Un giorno vi pentirete di tutto ciò
C'è qualcosa che avete scritto in passato di cui non vi vergognate oggi? Io dico di no. Provate a pensare agli status che scrivevate su Facebook nel 2009 o ai diari che tenevate nel primo biennio universitario, non state cominciando a sentire caldo dietro le orecchie?
Ecco.

5)
Diventerà presto un fardello
Ciò che contraddistingue la nostra generazione, oltre l'insensibilità e l'ennui esistenziale, è l'incapacità di concentrarsi.
Non riuscite a vedere un film di Gus Van Sant intero, non avete mai finito un solo numero di Dylan Dog, come potete pensare che il vostro blog vi sembrerà un'ottima trovata per più di due settimane? Finirà nello scatolone delle cose iniziate e mai finite, insieme a Lost e alla vostra carriera universitaria.




giovedì 23 gennaio 2014

Seneca



« Vedi Madame, non puoi continuare a scappare » mi diceva Giacomo visibilmente scosso mentre chiudevo senza una parola la portiera della macchina e la nostra relazione, prima di partire per l'Erasmus.
Giacomo non poteva immaginare che tre mesi più tardi la stessa frase mi sarebbe stata ripetuta da due affannate e incredule guardie di H&M, nella baixa di Lisbona, mentre ancora stringevo la refurtiva (uno smalto da 0.95€) tra le mani.

O che sette mesi dopo sarei stata io a dirlo allo stronzo studente americano con cui avevo condiviso stanze vuote, fluidi corporei e senso di inadeguatezza prima che capisse che l'America aveva bisogno di lui e no, non poteva proprio restare. E così, mentre mi rendevo conto che era troppo tardi ormai per bucare i preservativi (ma perché non pensarci prima!), davanti al gate mi lanciavo in un ultimo, disperato tentativo :
« Ma Matty ! How can-a you do thiss to mee ?! Please don't go away »
«  You don't understand baby doll, I just can't live without corndogs »

Ovviamente sto scherzando.
Non mi ha mai chiamata baby doll.

Quello che il povero Giacomo poteva immaginare, però, è che oggi me lo senta dire da mia madre dopo averle spiegato i miei piani per il futuro.

Vedete amici, non mi reputo certo una campionessa di esame di coscienza, ma una cosa l'ho capita : per quanto allettante possa sembrare, la fuga non è mai una soluzione.

[A meno che, ovviamente, non si tratti di sgattaiolare fuori dal letto di uno sconosciuto dopo una notte di sesso insoddisfacente oppure, che ne so, lasciare un party in cui sono presenti più di tre ex fidanzati.]

Insomma Seneca c'era arrivato duemila anni fa, quando scriveva a quel debosciato di Lucilio ''inutile che te ne vai in giro, quello che cerchi, la droga felicità, la puoi trovare ovunque'', o qualcosa del genere.
Quello che voglio dirvi è che svegliarvi nel vostro studiò in affitto con vista sul Moulin Rouge non vi farà sentire meno tristi. O meno grassi. O Amélie Poulain.
Potrete cambiare continente, o correre più veloci del vento ma il magone ci sarà, proprio come la clamidia, a ricordarvi che dal senso di insoddisfazione e dalle malattie veneree non potete scappare.
Quindi prima di aprire la pagina di Easyjet, se vi sentite tristi, provate a parlarne con qualcuno. Che a Berlino manco lo capiscono l'italiano.