sabato 21 giugno 2014

SAVE THE RHINO


Sono andata a sentire Trentemøller allo Zoom, e ho visto cose che non avrei voluto vedere.
Per non parlare della quantità di cose che avrei voluto vedere e invece non ho visto.
È stato strano, allucinante, meditativo.
Per prima cosa tutto in quel posto mi dava l'impressione di essere tornata indietro nel tempo: leggins stampati ovunque, converse all-star (giuro!), capelli stirati, gonne lunghe e nastrini nei capelli.
Ora: io rispetto il vostro stile boho, davvero; anche io adoravo le gonne a fiori, a dodici anni. Non mi sembra che quello fosse un concerto di Joss Stone, né che fossimo a San Francisco nei fottuti anni '70. Smettetela, siete più anacronistiche di un film di Petersen.
La maggior parte dei presenti era poser. Ma di quei poser senza criterio o gusto, e tutto sommato con quel piccolo ritardo da provincia: ragazze con la shatush, ragazzi con tagli di capelli nazisti. Ragazze coi capelli lunghi che nel 2012 li portavano corti rasati da un lato e che tra qualche mese li tingeranno di blu.
Persone che speriamo non vada mai di moda mangiare merda, o starebbero già prenotando un tavolo al Ristostronzi.
Non ho mai visto un posto con così tante persone fuori luogo e così poca droga, e ho l'impressione che l'uno fosse la conseguenza dell'altro.
Ma andiamo con ordine.
All'ingresso un guardiano dello zoo in tenuta militare e forte accento cumianese fungeva da tornello umano. Non so se vi sia mai capitato di immaginare un guardiano dello zoo, ma se vi è successo sono sicura che assomigliava a QUEL guardiano.
Dopo aver sborsato 20€ e aver lasciato frugare nella mia borsetta, mi consegnano un misero braccialetto di carta verde, che non reca alcun logo, data o scritta. Niente di niente. La cosa mi lascia abbastanza interdetta, poiché speravo che incluso nel prezzo ci fosse la possibilità di sgaggiarsela nei giorni seguenti. E invece no.

Una volta dentro mi aggiro lungo i sentieri piuttosto soddisfatta del fatto che ci sia ancora abbastanza luce da permettermi di vedere gli animali. E invece no, gli unici animali che avvistiamo sono fenicotteri e pellicani. Wow. Molto carini. Ma.dove.sono.tutti.gli.altri. 

Credo li abbiano nascosti, tenuti al riparo dai temibili clubberz della provincia di Torino.
Arrivati all'''anfiteatro dei rapaci'', nome che ti fa viaggiare con la fantasia e immaginare maestosi falchi pellegrini sorvolare in circolo l'arena mentre la folla urlante acclama
Trentemollo, scopro che si tratta di nient'altro che gradinate in finta pietra, con un piccolissimo parterre, braccato a vista dai buttafuori.
Tutti seduti e composti insomma.
Mentre aspettiamo trepidanti ho modo di incontrare tutte le persone con cui ho limonato dai 16 ai 19 anni, letteralmente. Tutte. Questo fatto mi convince ancora una volta che mi trovi nel passato e che debba far in modo di non incontrare la vecchia me o ciò comporterebbe quel genere di casini che succedono quando viaggi nel tempo e fai cazzate.
Appena Trent mette piede sul palco gran parte delle persone - me compresa - si spostano nel parterre.
C'è molto fumo e raggi chiari quasi paradisiaci. Da quel poco che vedo noto che in molti (già perché sono molti
sul palco) indossano cappelli alla Pete Doherty. Mmh.


Ci sono due donne. Fanno la peggiore robot dance che io abbia mai visto.
Il fumo non accenna a dissiparsi e Tre
nt inizia a scaldarsi sul serio.
Io mi trovo tra la folla, in piedi, assai vicina al ''palco''.

Qualcosa nel comportamento delle persone mi turba e mi fa pensare che nessuno di loro sia mai stato a una serata del genere. Per prima cosa applaudono e urlano ''bravo'' nel passaggio da un brano all'altro, proprio come se fossero a un concerto di Mannarino.
Davanti a me una coppia limona ininterrottamente, e non una coppia di sconosciuti sotto MD, no. Una coppia di fidanzati. Limona. In prima fila. E invade il mio spazio vitale. Questa scena mi ha
fatto passare una volta per tutte la voglia di avere un ragazzo.
Durante i brani più tranquilli e riflessivi, quelli in cui si dovrebbe stare tutti in religioso
silenzio e viaggiarsela ognuno nel proprio piccolo universo di cazzi propri, la gente PARLA. Loro parlano. Di qualsiasi cosa. Della partita. Del loro trasloco. Dei fottuti cambi di stagione. E proprio mentre sto pensando irritata a questo fatto, il tizio di fianco a me con maglietta rossa dei MCR (I wish I was joking but I'm not) mi chiede perché sia triste. Penso a una risposta gentile e definitiva, ma poi mi viene in mente che rispondendogli diventerei una di loro, una di quelli che parlano. Mi limito ad alzare le spalle.
Trent è sempre più incazzato (in senso buono) e ci si avvicina alla fine del concerto.
Per l'ultimo brano chiama tutti sul palco, che poi altro non è che un prato con un'inspiegabile pozza d'acqua al centro. Rischio di slogarmi la caviglia, ma supero con agilità gli ostacoli e mi godo il momento più figo e liberatorio della serata.

A seguire Dj Lollino o qualche altro ridicolo nome poco invitante. Mi allontano, c'è una strana atmosfera da festa di paese.
Raggiungo la macchina e mi godo la vera festa della serata: le teddy chips.



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